Silvio e Beppe: i vincenti della politica.

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Ecco chi può tornare a casa felice e contento dopo le elezioni del Presidente della Repubblica. Silvio e Beppe. Così diversi, così uguali.
Questi due ragazzi di 76 e 64 anni escono da queste elezioni come i 2 vincitori incontrastati della bagarre politica italiana.

Sulla scia del pareggio clamoroso ottenuto alle elezioni parlamentari, Silvio Berlusconi continua ad avanzare nei sondaggi.
Dopo aver condotto una campagna elettorale all’insegna dello scontro, dal 26 Febbraio Berlusconi ha incominciato ad indossare le vesti del politico responsabile e pronto ad un governo di larghe intese. Dopo aver insultato per 2 mesi quella “banda di comunisti”, il giorno dopo le elezioni, era disposto, senza farsi troppi problemi, a formare un esecutivo con le stesse persone che aveva tacciato di bolscevismo neanche 24 ore prima.

La coerenza, come sappiamo, non è il forte di Silvio Berlusconi. Ma la grande capacità del Signor B. è proprio quella di capire precisamente la fase che sta vivendo, in un determinato momento, la politica, ed agire di conseguenza; in modo che egli possa apparire agli occhi degli italiani come il Salvator Mundi.
Ed infatti finite le elezioni, Berlusconi ripone in armadio il costume da combattente ed indossa quello dell’uomo di stato, disposto perfino a votare il leader del partito antagonista, Pierluigi Bersani, alla Presidenza della Repubblica, pur di raggiungere un patto fra le forze politiche. Ma dopo 20 anni sappiamo che ogni frase ed ogni gesto che compie B. sono studiati e preparati approfonditamente, proprio per guadagnare terreno nei suoi amati sondaggi.

Inoltre, arrivate le elezioni del Presidente della Repubblica, Berlusconi ha il grande merito di presentare un partito forte e coeso capace di votare unito lo stesso candidato. Ad un PD lacerato dalle lotte interne, Silvio offre un PDL compatto e sicuro. Perché c’è una grande differenza fra un partito che dialoga sulle scelte da compiere per poi convergere sulla stessa linea, e un partito che litiga per prendere delle decisioni e poi si spacca al momento del voto.

Terza grande vittoria di Silvio Berlusconi -e forse la più importante- è l’esser riuscito ad eleggere un Capo di Stato disposto ad offrirgli qualche garanzia di protezione. Di certo Napolitano non è quel famoso Presidente che si chiama Salva di nome e Condotto di cognome, ma, di fronte alla possibilità di avere Stefano Rodotà o peggio ancora Romano Prodi, Berlusconi è ben contento di eleggere un Presidente che già ha dimostrato di riuscire a tenere bene in equilibrio la bilancia fra i due partiti. Non possiamo non capire, infatti, il sorriso a 32 denti che ha mostrato dopo la riconferma di Giorgio Napolitano.

Dal canto suo Beppe Grillo ha rilanciato la sua corsa politica. Il Movimento 5 Stelle, finite le elezioni politiche, stava mostrando i suoi limiti e le sue debolezze; anche i sondaggi facevano notare una calo nei consensi. Ma come sempre quando qualche politico è in difficoltà, il Partito Democratico, forse preso da qualche forma di carità cristiana, si impietosisce e si mette a regalare voti qua e là. Insomma il PD, se si presentasse l’opportunità,  riuscirebbe a far risorgere anche l’ “onorevole” Domenico Scilipoti. Infatti Bersani&CO presentano Franco Marini come candidato per la Presidenza della Repubblica. Grillo, intuendo la grande opportunità che gli stava offrendo il PD di riconquistare consenso, presenta un nome molto rispettato ed ammirato dall’elettorato di centro-sinistra, Stefano Rodotà. Ecco che Grillo riesce un’altra volta a capire il volere del popolo e, di questo, farsi l’unico rappresentante nella politica italiana.

Insomma di fronte al fallimento totale del PD, questi due ragazzi riconquistano la prima linea nel palcoscenico della politica italiana.

 

Gabriele Guzzi

RE GIORGIO TORNA IN CAMPO. Il PD NON ESISTE PIU’

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Come poteva accadere nelle migliori fiabe, il Re torna a salvare la principessa imprigionata nel castello, la sposa e vivono per sempre felici e contenti.
Purtroppo questa non è una una fiaba di Capuana e probabilmente questo non è il lieto fine che molti si aspettavano.

Giorgio Napolitano sarà il prossimo Presidente della Repubblica. Questo è senza dubbio un fatto storico per la Repubblica Italiana che mai aveva visto lo stesso uomo sul Quirinale per due mandati consecutivi. Napolitano ha, dunque, accettato la richiesta bipartisan di continuare, ad 87 anni, a svolgere la sua funzione.
Senza voler mettere in dubbio l’alta levatura istituzionale che contraddistingue Giorgio Napolitano, questa ricandidatura è la prova provata del completo fallimento del Partito Democratico. La stessa forza politica che, neanche 2 mesi prima, si era candidata a guidare il governo di questo paese.
Una dirigenza che non riesce ad avere un peso politico sulle scelte dei propri deputati e senatori, decisioni che vengono ribaltate nel giro di 12 ore, lotte fratricide all’interno dello stesso gruppo parlamentare ed una lontananza chilometrica dal volere dei propri elettori sono alcuni dei paradossi che sono accaduti nel Partito Democratico.

Il capro espiatorio di tutto questo è Pierluigi Bersani. Sicuramente le sue colpe sono indifendibili e la scelta di dimettersi era l’unica via per provare a far risorgere il partito. Una campagna elettorale vergognosa caratterizzata solo da qualche metafora  alla Crozza buttata giù, da qualche promessa di smacchiatina ha reso evidente la mancanza di un carisma adeguato per poter vincere le elezioni. Successivamente ha provato, fino all’umiliazione pubblica, a formare un governo con i 5 Stelle che nel frattempo, sui Social, ridevano di lui. Ma l’acmè del suo fallimento sono state le elezioni del Presidente della Repubblica.

Invece di convergere sul nome di Stefano Rodotà, personaggio che, storicamente, appartiene al mondo culturale della sinistra ; Bersani prova a convincere i suoi che l’abbraccio con il Caimano è l’unica via per poter riappacificare il Paese. I suoi neanche lo stanno a sentire. Si vota e Franco Marini prende più di 150 voti in meno di quelli che avrebbe dovuto prendere.
Passo indietro. Forse l’inciucio con Silvio non è la strada giusta. Che si fa allora? Candidiamo la persona che di più compatta il Partito: il suo fondatore. Ma qui ci dobbiamo fermare un’altra volta. Perché dopo aver verificato l’impossibilità di eleggere un candidato “delle larghe intese” non si sono decisi a votare Rodotà? Probabilmente per non darla vinta a Grillo.
Pur di non far vincere il candidato del M5S, il PD non ha votato un ex presidente del PDS, partito a cui lo stesso Bersani apparteneva.
Ma andiamo avanti. Bersani propone Prodi e all’unanimità l’assemblea dei Grandi Elettori dice sì. Neanche 16 ore dopo più di 100 franchi tiratori (evidentemente illuminati durante la notte) “tradiscono” la linea del partito e non votano Romano Prodi. Ad un punto tale di pazzia il Pd non vi era mai arrivato. Il partito è allo sbaraglio totale: nel giro di un’ora si dimette il Presidente ed il Segretario.

Ed ecco che arriviamo alla scelta di ri-candidare Giorgio Napolitano. Verificato ampiamente l’impossibilità di proporre un proprio nome, e il non voler arrendersi a Grillo spingono Pierluigi Bersani ad andare in ginocchio a chiedere di togliere le castagne dal fuoco a Napolitano. Questi accetta ed ecco che possiamo ufficialmente celebrare il funerale del Partito Democratico.

Non tutte le colpe vanno però date a Bersani. I problemi all’interno del PD sono molti e radicati nel tempo. Troppi protagonismi e troppe divergenze impediscono la formazione di un partito forte e coeso. Troppi D’Alema, troppe manovre sottobanco.

Vedremo se dirigenti del PD riusciranno a capire la lezione e a ricostruire da zero un partito migliore

 

Gabriele Guzzi